Archive for January, 2020

Le foreste devono passare al Ministero dell’ Ambiente?

Da tempo alcuni gruppi di opinione invocano il trasferimento delle competenze (indirizzo e coordinamento) in materia forestale, dal Ministero delle politiche agricole e forestali (MIPAAF) al Ministero dell’ambiente (MATTM), altri, per reazione, sostengono invece il mantenimento al MIPAAF.

Prima di prendere posizione è sempre bene avere un quadro reale della situazione, almeno nei tratti principali, del resto non può essere diversamente dal momento che non siamo forti nelle statistiche forestali e molte cose ci sfuggono.

Dati ragionati del sistema-foresta italiano

Le foreste coprono circa 11 milioni di ettari: pari al 30% della superficie nazionale. Negli ultimi 10 anni il bosco è aumentato di circa 50000 ettari all’anno per espansione naturale nei terreni agricoli abbandonati. Negli ultimi 30 anni ha significato un aumento della superficie boscata di circa 1 milione di ettari.

I tagli di utilizzazione riguardano circa il 25% dell’incremento annuo della massa legnosa. Nel 2017 il tasso di prelievo è stato del 18.4%, contro il 62-67% della media europea. In altre parole: i boschi aumentano e si tagliano sempre di meno, quindi “invecchiano”, hanno di conseguenza una crescente biomassa e necromassa.

Il 100% delle foreste sono soggette a vincolo paesaggistico, l’85% ha il vincolo idrogeologico, il 28% (oltre 3.9 milioni di ettari) ha un vincolo di carattere naturalistico che riguarda le foreste “migliori”. In altre parole: le foreste sono più che protette.

Le foreste continuano a bruciare in maniera altalenante ogni anno, con punte di oltre 50000 ettari; siamo capaci a spegnere ma non a prevenire e a restaurare.

Le foreste italiane assorbono attualmente circa il 10% delle emissioni complessive del nostro Paese. Non è molto e si può fare di meglio, basterebbe fare opera di Restoration in quelle degradate, facile a dirsi, difficile a farlo capire ai dirigenti dei Ministeri e delle Regioni.

L’industria del legno riguarda 80000 imprese con 400000 addetti ma per far muovere questo sistema si importa l’80% del fabbisogno di legno, sempre tracciato (?). In altre parole: o non siamo capaci di produrre legname buono per l’industria o lo produciamo a prezzi troppo alti.

Gli occupati privati “apparenti” (ditte boschive e gestione forestale) sono circa 40000 e forse 60000 gli operai forestali pubblici (per quanto sia una deprecabile forma di assistenzialismo sociale è sempre meglio del reddito di cittadinanza).

Sono 200000 i raccoglitori “ufficiali” di tartufi  che danno luogo a un giro di affari di 500 milioni di euro all’annuo, imprecisati, e comunque un numero enorme, quelli di funghi.

Il sistema foresta concorre per lo 0.08% del valore aggiunto dell’economia italiana.

Gli iscritti alle associazioni escursionistiche, quindi che vanno nei boschi a camminare sono più di 600000.

Siamo sempre più vulnerabili alla disinformazione in materia di foreste. I social aiutano molto. Il posto dei competenti è stato preso dagli incompetenti (pure se si spacciano per ricercatori) che non facendo tesoro dei suggerimenti dell’Abate Dinouart, parlano, scrivono, rilasciano interviste che poi vengono rilanciate secondo le convenienze di parte. Molti vogliono emulare Greta Thumberg, ma è meglio l’originale. Il tutto a discapito della oggettività scientifica e in barba alla onestà intellettuale.

I riferimenti istituzionali

Il MIPPAF. Con il DPR 11/1972 e con il DPR 616/1977 inizia il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste. Che si completa con la Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione essenzialmente per ciò che attiene l’articolo 117. Al Ministero rimangono competenze residuali, con un ruolo di guida e di coordinamento e di rappresentanza internazionale dell’Italia per ciò che concerne le politiche forestali. Quindi un compito di “indirizzo e coordinamento” mentre la competenza primaria sulla gestione forestale appartiene alle Regioni e alle Province Autonome.

Il MATTM. Ha competenza per ciò che riguarda il vincolo naturalistico, gli impegni internazionali circa biodiversità forestale, gestione forestale sostenibile, cambiamenti climatici. A livello nazionale si occupa di aree protette statali (L.394/1991 e segg.), di pianificazione antincendi boschivi nelle aree protette statali (L. 353/2000 e segg,) di materiali forestali di moltiplicazione (D.L. 386/2003 e segg.).

Il MIBAC. Il Ministero per i beni e le attività  culturali e per il turismo si occupa di foreste per ciò che riguarda il vincolo paesaggistico (L 431/1985 detta “Legge Galasso”, e DL 42/ 2004 detto “Codice del Paesaggio”).

Corpo Forestale dello Stato/Carabinieri Forestali

A seguito della Legge 124/2015 (cosiddetta Riforma Madia), il Corpo Forestale dello Stato (CFS), istituito nel 1822, è stato riorganizzato, e funzioni, risorse e personale sono stati “assorbiti” principalmente dall’Arma dei Carabinieri (D.L: 177/2016) a partire dal 1 gennaio 2017. L’Arma dei Carabinieri ha istituito il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari (CUFA) da cui dipendono quattro Comandi: Tutela Forestale, Tutela della Biodiversità e dei Parchi,Tutela Ambientale e Tutela Agroalimentare.

Il TUFF

Nel 2018 è entrato in vigore il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (TUFF) (DL 34/2018, G.U. SG n. 92 del 20 aprile 2018). Con questo atto viene attribuita al MIPAAF, sentita la Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome, la competenza per adottare gli atti di indirizzo e assicurare il coordinamento delle attività. Tale funzione è svolta in coordinamento, per  quanto di rispettiva competenza, con il MATTM e con il MIBAC.

La Direzione Generale delle Foreste

Con DPCM n. 143 del 17 luglio 2017, venne istituita la Direzione generale delle foreste, che diviene la terza Direzione generale del Dipartimento per le politiche europee e lo sviluppo rurale nell’ambito del MIPAAF. Alla Direzione vengono affidati i compiti già del CFS, come  previsto dall’art. 11 del D.L. 177/2016, ma anche altri, quali il controllo e il monitoraggio del consumo di suolo forestale, il coordinamento e la tutela dei patrimoni genetici forestali, la tutela dei prodotti del sottobosco, i compiti in materia di FLEGT e EUTR, altro.

Il punto politico della questione

Tutti questi cambiamenti, che si sono sommati, incrociati, impastati e “pervertiti” nel tempo, hanno creato disuguaglianze tra i cittadini a livello nazionale per una diversa efficienza tra le Regioni che è inutile negare, almeno per chi conosce il settore forestale italiano. La differenza tra quelle del nord e quelle del sud è abissale, In Calabria, ad esempio, per l’approvazione dell’unico piano di gestione forestale privato ci sono voluti 6 (sei) anni quando la legge forestale prevede un limite di pochi mesi e anche per i piani presentati dai Comuni si tratta sempre di anni mai di mesi. In Toscana occorrono pochi mesi, quasi sempre nei limiti della legge. Ciò dimostra che il cittadino-imprenditore-professionista calabrese è penalizzato nella sua attività rispetto a quello toscano.

-La gestione delle foreste richiede una unitarietà per rispondere alle disarmonie interne, ai conflitti di interesse e agli impegni assunti a livello internazionale.

-La sburocratizzazione delle procedure operative, ora frammentate tra troppi Ministeri ed Enti, si impone, se si vuole promuovere una “politica della dignità” per agevolare l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro, al posto di una politica populista basata sui vitalizi.

-La società sempre più multietnica e multiculturale che vede molti stranieri impiegati nel settore forestale, richiede un controllo efficiente, centralizzato e non parcellizzato delle attività per scoraggiare e contrastare le situazioni di ingiustizia e di illegalità.

-Una politica forestale moderna e realistica deve considerare le rapide trasformazioni sociali del nostro tempo: l’inurbamento (il 67% degli italiani vive in città o in prossimità dei grandi centri urbani), la terziarizzazione, la svolta culturale ed etica dell’’opinione pubblica che vede il bosco non più come produttore di servizi diretti (legno ecc.) ma di servizi indiretti (fissazione dell’anidride carbonica, conservazione della biodiversità, del suolo, delle risorse idriche). Un popolo più orientato a “conservare” che a “tagliare”. E la politica del MIPAAF non può più essere quella del MAF degli anni ’50 del ‘900. Con tutto il rispetto per Amintore Fanfani.

L’attribuzione delle foreste all’uno o all’altro Ministero tout court richiede attenzione perché potrebbe avallare, in questo momento storico della società, scelte ideologiche e interessi di parte con pericolose conseguenze.

Se tutte le competenze forestali passassero al MATTM, significherebbe orientare le scelte politiche forestali verso l’ ambientalismo (troppo spesso radicalizzato) che punta su un conservatorismo a tutto campo, che penalizzerebbe l’impresa forestale, che interpreta il restauro delle foreste non in senso ecologico e sociale ma nel quadro di strategie conservazionistiche, che sostiene il “rinselvatichimento”, ops il “re-wilding” quale strumento per giustificare l’esclusione dell’uomo dal bosco, ritenuto la causa prima della alterazione degli habitats naturali (come se l’uomo non facesse parte integrante di tutti gli ecosistemi).

Se le cose rimassero così come sono, ossia ruolo di “coordinamento” al  MIPAAF e ruolo “operativo” alle Regioni, significherebbe dare rilievo a scelte in senso produttivistico (con attenzioni marginali verso gli altri aspetti, almeno da quanto se ne deduce dal testo del TUFF e dei futuri decreti delegati), sostenute da interessi comuni al mondo dell’impresa, dei sindacati e delle associazioni professionali, di parte della ricerca e del mondo accademico forestale. Significherebbe sostenere, fatte le dovute tare, quella mentalità estrattivista, che Naomi Klein ritiene una delle peggiori trasformazioni del materialismo e dello stesso capitalismo, e che è oggetto di critica da parte del Magistero di Papa Francesco. Dice il Papa nella Laudato Sì al n. 195. “ Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia:  se  aumenta  la  produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento.”

Il passaggio di tutte le competenze sulle foreste al MIBAC è una ipotesi improbabile.

Un nuova strategia politica

Nella sua prolusione, il premio Nobel per l’economia 2018, Paul Romer (insieme a William Nordhaus), dedica un intero capitolo alla produzione di idee, argomentando come da esse dipenda lo sviluppo nel lungo periodo di una nazione. Nemmeno a dirlo che l’intero comparto forestale italiano ha mancato fino ad ora di idee innovative. Avere fiducia nell’uomo vuol dire che si può sempre cambiare e migliorare.

Un sana politica forestale deve saper valorizzare e tener conto delle pulsioni e dei bisogni della società. Senza per questo esserne condizionata. Una buona politica forestale richiede: competenza, autorevolezza, motivazione, e distacco, per poter sostenere il presupposto etico del “bene della casa comune”. Non una politica del compromesso, ma della differenza vista la complessità del sistema-foresta italiano.

Il quadro prospettato evidenzia la necessità di riportare la gestione di tutte le foreste italiane al livello nazionale, disarticolata secondo tre principali linee direttrici: 1) “Gestione responsabile delle foreste”; 2) “Conservazione delle foreste con valenze naturalistiche e culturali”; 3) “Restauro delle foreste degradate”. L’ottica della gestione si deve allargare, oltre al legno nelle sue varie forme, alla raccolta dei prodotti spontanei (picking, foraging), alle “inumazioni” nei boschi, alle attività culturali, a quelle sportive, terapeutiche, spirituali e religiose, educative e ricreative. Alle nuove funzionalità offerte dagli alberi nelle zone urbane e periurbane.

L’idea di cambiare strada nella politica forestale é venuta a molti, e sempre come è ovvio, con visioni diverse.

Ora ci vuole un politico che abbia un forte senso dello Stato che abbia il coraggio di creare un unico e nuovo Ministero per gli alberi e per le foreste che riassuma tutte le competenze in materia, visto che si tratta di un settore sempre più strategico anche nel quadro internazionale. Da cui far dipendere un nuovo organo tecnico, una Authority (che a sua volta assorba tutto il personale forestale dello Stato, inutile dire anche quello derivante dalla soppressione del CUFA).

Una Authority di riferimento per tutte le funzioni di coordinamento, tutela, ma anche di gestione diretta di alcune foreste storiche (ex ASFD) e di quelle da “ri-trasferire” da Regioni e demani  pubblici soprattutto quando non sono più in grado di farlo secondo standard accettabili. Questo ruolo dello Stato-Imprenditore-Insegnante è importante, come avevano già capito i legislatori di inizio ‘900, infatti per sviluppare una buona gestione forestale ci vogliono buoni esempi di impresa e meno sermoni accademici. Le grandi aziende forestali (> 5000 ettari) sono indispensabili senza le quali non si può fare una buona gestione responsabile dal punto di vista etico, economico, sociale ed ecologico.

Una Authority articolata in un centro direzionale nazionale, con ramificazione a livello di regioni (con buona pace delle Province e Regioni autonome) e di aree omogenee.

Per cambiare bisogna pensare in grande.

 

Per approfondimenti

AA.VV. 2019. Foreste e filiere forestali. Key editore,  pp. 334.

AA.VV. 2019.  Un’agenzia forestale nazionale nell’interesse del Paese, Sherwood 239: 4-5.

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Abrami A., 2018. Legislazione e amministrazione del paesaggio. Un’indagine critica. Aracne, Roma.

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Bookchin M. 1995. L’ecologia della libertà Eleuthera, pp. 547.

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Siti web

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http://www.brunoleoni.it/intervista-a-paul-romer-premio-nobel-per-l-economia-2018-2

https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/forest-growing-stock-increment-and-fellings-3/assessment.

https://www.foresteurope.org/docs/fullsoef2015.pdf

https://www.gndforeurope.com/

http://www.isprambiente.gov.it/it/evidenza/snpa/no-homepage/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici.-edizione-2019

https://rewildingeurope.com/

https://www.symbola.net/ricerca/greenitaly-2019/

 

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Piantare alberi: i giardini biblici

Il “piantare alberi”, secondo Papa Francesco (Laudato Sì, n.211) dovrebbe rappresentare uno dei comportamenti virtuosi che potrebbero avere una incidenza diretta e importante nella cura della “Casa Comune”.

Questo punto è stato ripreso dalle Comunità Laudato Sì (promosse dal Vescovo di Rieti Domenico Pompili) con il progetto di piantare 60 milioni di alberi https://comunitalaudatosi.org/

Proposta lodevole e condivisibile. E su questo Blog, manco a dirlo, “sfonda una porta aperta”.

Sul piano della fattibilità, qualcuno eccepisce che mancano i terreni dove piantare gli alberi: per l’avanzata naturale del bosco negli ex spazi agricoli, per il consumo di suolo dovuto all’ espansione urbana e delle infrastrutture. Alcuni ritengono, invece, che ci siano delle grandi potenzialità nelle aree urbane delle periferie e nei luoghi da risanare. Altri lamentano che manca il materiale vivaistico adatto come specie e dimensioni. A queste considerazioni bisognerebbe aggiungere qualcosa di più pericoloso: la frenesia, diffusa in questi ultimi mesi di “fare qualcosa” per combattere l’effetto serra, che potrebbe essere più dannosa che efficace. Quando si vedono alla TV le decine di persone che si accalcano attorno ai feriti nei paesi in guerra del Medio Oriente, viene da pensare, considerando gli standard dei soccorritori occidentali, che quel marasma di persone completerà l’azione degli ordigni piuttosto che salvare i feriti. Qualcosa di simile potrebbe accadere anche in questo caso se l’entusiasmo dei volontari dovesse prendere il posto della lucidità dei professionisti. Comunque sia, a tutto c’è rimedio.

Ecco una proposta, “di qualità”, per dare un contributo realistico e fattibile all’iniziativa del “piantare alberi”.

Ci sono molti spazi che si trovano attorno alle chiese, monasteri, cimiteri, strutture di accoglienza e di educazione che sono privi di alberi, oppure talvolta ci sono, ma sono decrepiti e vanno sostituiti, altre volte ci sono, ma sono inadatti al luogo per il loro significato simbolico. Viene in mente il caso di alcuni alberi di Giuda (Cercis siliquastrum L.), dove la tradizione vuole che si sia impiccato Giuda per il rimorso dopo il tradimento, che sono stati piantati di fronte a una chiesa. Non è stata un scelta felice, perché qualcuno potrebbe pensare che sia stato un messaggio poco rassicurante per il parroco.

Realizzare dei giardini biblici questa è la proposta. Ciò non significa creare una collezione di alberi della Bibbia, molti dei quali sono inadatti ai vari climi italiani. Ma scegliere gli alberi (nelle loro entità sottospecifiche) per l’adattabilità ecologica, il valore estetico e, in particolare, per il loro significato simbolico “biblico”.

Questi nuovi spazi verdi, se di buona qualità estetica e simbolica, potrebbero contribuire alla riqualificazione di molte zone urbane, ed essere utili per le “catechesi verdi” all’aperto. Senza voler fare dell’ecologismo a buon mercato, ora di moda, si tratta di partire dalle caratteristiche botaniche della pianta e dai significati simbolici, per fare una riflessione sulla dimensione umana, nel tentativo di rispondere agli interrogativi esistenziali dell’uomo del nostro tempo. Uno spazio educativo e ricreativo. Un luogo di incontro e di confronto.

Non ci sono esempi in Italia. Gli architetti e anche le “archistars” dopo aver realizzato ottimi edifici, (leggasi chiese) spesso trascurano l’esterno: o cementificano o demandano al vivaista la scelta degli alberi con risultati spesso opinabili. In Italia ci sono ottimi vivaisti che sanno fare bene il loro mestiere che è quello di allevare e di coltivare gli alberi, ma non si possono sostituire al paesaggista o meglio al “Maestro dei giardini”.

Speriamo che nella erigenda “Casa del futuro” di Amatrice (Rieti) dell’Architetto Stefano Boeri, si dia un buon esempio nella scelta delle piante e segnare così una svolta di qualità.

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Il frassino, albero sacro nella mitologia vichinga

Il frassino maggiore  (Fraxinus excelsior L.) è un albero deciduo, alto fino a 40 m e 1 m in diametro. Raggiunge generalmente i 150-200 anni di età.

L’areale del frassino maggiore interessa l’ Irlanda, Gran Bretagna e la parte meridionale della Scandinavia. Comprende una vasta zona della Russia spingendosi fino al mar Caspio. La parte settentrionale della penisola iberica, la penisola italiana, i Balcani e parte dell’Anatolia settentrionale.

In Italia è diffuso allo stato sporadico nelle Alpi e nell’Appennino. In Sicilia si trovano gruppi spontanei nei M. Nebrodi. Nelle zone montane si trova assieme al faggio, abete bianco, acero montano, olmo montano e nelle Alpi insieme all’abete rosso. Nelle foreste planiziarie della pianura Padana (Bosco di Olmé) il frassino maggiore vegeta con: Quercus robur L., Carpinus betulus L., Acer campestre L., Ulmus minor Miller, Tilia cordata Miller, Alnus glutinosa Gaertner, Populus alba L..

La sua distribuzione altitudinale è molto ampia: va dalla pianura Padana fino a 1500 m sulle Alpi e Appennini. Nell’Appennino è presente prevalentemente tra 800 e 1200 m.

In Italia si trovano anche due altri frassini di dimensioni minori e adatti ad ambienti diversi dal frassino maggiore: l’orniello (F.ornus L.) e il frassino ossifillo (F. angustifolia Vahl.).

Il frassino maggiore é assai esigente di luce nella fase adulta, mentre i semenzali tollerano l’ombra fino all’età di circa 7-10 anni.

Specie mesofila, tendenzialmente igrofila, può essere considerata come una grande consumatrice di acqua nel senso che controlla la sua traspirazione molto tardi.

Le stazioni ottimali sono quelle su suoli profondi, freschi, ben drenati e strutturati, pH di 5,7-7. Tollera valori di pH fino a 4,5. Si trova anche su substrati calcarei; in quanto indifferente alla presenza del calcare attivo. Tollera suoli limosi  e  moderatamente  argillosi.

Il frassino maggiore mostra un accrescimento rapido nei primi anni.

Il legno ha buone caratteristiche tecnologiche, usato un tempo per lance e frecce, ora per attrezzi sportivi, mobili, tranciati.

Specie utilizzata come pianta ornamentale, nei Paesi dell’Europa settentrionale. La colorazione gialla in autunno é molto apprezzata dal punto di vista cromatico per questo è usato allo stato isolato o per creare boschetti e alberature.

Sono state selezionate alcune forme e varietà: ‘Nana’ simile a un arbusto, ‘Spectabilis’ per la chioma fastigiata, ‘Diversifolia’ per il numero delle foglioline,’ Pendula’ dai rami piangenti, e molte altre  http://ww2.bgbm.org/EuroPlusMed/PTaxonDetail.asp?UUID=E4FC967F-1F8E-474F-A867-C1149578BC52

I Vichinghi in particolar modo, assieme ad altri popoli nordici, avevano uno stretto legame con il frassino tanto da essere chiamati aescling “gli uomini del frassino”. Da punto di vista simbolico, il frassino maggiore rappresenta l’Axis Mundi dell’universo scandinavo. Il frassino Yggdrasill sorregge con i suoi rami nove mondi nella mitologia norrena.

Albero cosmico che unisce cielo e Terra: affonda le radici nel regno degli inferi e la chioma si perde nei cieli. Simbolo di rinascita, fonte di guarigioni e di saggezza cosmica.

E’ l’albero dove si riunisce dell’assemblea. Ai rami degli alberi sacri venivano impiccate le vittime sacrificali in onore di Wodan (Odino). Tutto sommato è stato meglio che i Vichinghi si siano convertiti al cristianesimo (dall’800 al 1200 d.C.).

Gamla Uppsala (Svezia), qui sorgeva un tempio dell’antica religione norrena. Nel cimitero e attorno alla chiesa cristiana domina ancora il frassino maggiore. Proprio qui ogni 9 anni, nel mese di febbraio, venivano appesi 9 maschi ai rami degli alberi del bosco sacro.

 

Per approfondimenti

Bernetti G., Padula M. 1983.  Le latifoglie nobili. Monti e Boschi, 5: 40-44.

Boye R. 2007. Yggdrasill: La religion des anciens Scandinaves.  Payot, pp. 248.

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Il cerro sughero (Quercus crenata Lam.)

Un albero della Famiglia delle Fagaceae, poco frequente, meritevole di attenzione, spesso confuso, dalla posizione sistematica sempre controversa.

Raramente supera i 20-22 m di altezza e il diametro di 1,20 m.

Gli elementi distintivi per il riconoscimento sintetico sono facili.

La corteccia fessurata suberosa soprattutto nelle piante adulte, tuttavia meno suberosa e meno spessa che nella sughera.

Foglie a margine crenato, semipersistenti, verdi anche durante l’inverno e caduche nella primavera, di colore scuro nella pagina superiore e biancastre in quella inferiore. Ghianda sub cilindrica ovale o oblunga, lunga 3-4 cm e larga 2 cm.

Qualche singolarità dal punto di vista biologico. Innanzitutto è una specie di antica origine ibrida tra cerro e sughera. Di questo ne risente la fruttificazione che è molto scarsa. La maturazione dei frutti avviene nell’autunno (da settembre a ottobre) del secondo anno. La disseminazione è immediata tra la fine di settembre la prima metà di ottobre. Buona la facoltà germinativa e l’emissione dei polloni dopo l’incendio.

Il cerro sughero si trova dal livello del mare fino a 1000 m (quindi dove ora non c’è la sughera), con maggiore frequenza tra 500 e 800 m nell’Italia centrale.

Una specie indifferente al substrato, si adatta a suoli degradati, argillosi e sabbiosi, purché poveri di calcare attivo.

E’ l’albero che emerge nei boschi di latifoglie durante l’inverno per la chioma verde e leggera, per questo richiama “la vita”.

Non per niente, come riferisce il Santi, sul Monte Amiata, il cerro sughero, serviva “per adornare le porte delle chiese nei giorni di feste e ricoprire i Presepj nel tempo natalizio”.

Pianta protetta in Toscana e altre regioni italiane, di interesse fitogeografico, biogenetico, paesaggistico e perché no anche ornamentale, ma solo per soggetti raffinati e sofisticati.

 

Per approfondimenti

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