Archive for category Verde ornamentale

Gli alberi del corallo in Italia

Sono piante che appartengono alla Famiglia delle Fabaceae che comprende un centinaio di specie, due in particolare interessano l’Italia: Erythrina crista-galli L, (Cockspur coral tree)  e Erythrina caffra Thumb. (Coastal coral tree).

La prima è originaria del sud America (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay).

Raggiunge 5-8 m di altezza e 30-40 cm in diametro. Chioma arrotondata, espansa, vagamente a ombrello, con un diametro di 10-15 m. Apparato radicale fittonante.

La fioritura avviene da aprile a ottobre nell’ emisfero boreale, il punto di forza é il calice del fiore per la forma (la cresta di un gallo) e il colore rosso acceso.

Anche in una giornata nebbiosa risaltano i fiori. Costa tirrenica calabra.

Foglie decidue, composte, ovali e appuntite, rametti spinescenti. Il frutto è un legume lungo fino a 20 cm.

La seconda specie è originaria del sud Africa. Raggiunge un’ altezza di 8-12 m. Le foglie, decidue, sono tipicamente trifoliate. I fiori vistosi, di colore rosso-arancio, spuntano poco prima delle foglie all’inizio della primavera.

E. caffra. Ballarò, Palermo

Hanno caratteri autoecologici comuni: sono specie termofile, vegetano bene fino a 5 °C, quindi sono da evitare le zone dove la temperatura scende sotto 0 °C. Semmai, a scopo precauzionale si può aggiungere, attorno alla base, del materiale pacciamante (paglia) in inverno.  Preferiscono le posizioni completamente o parzialmente soleggiate. Terreni freschi ma ben drenati, abbastanza fertili, non quelli compatti. Resistono al vento e alla salsedine. Hanno una buona adattabilità alle condizioni urbane, non sono allergeniche, ma con un potenziale di stoccaggio di CO2 e di abbattimento di PM 10 basso, media emissione di VOC s.

In Italia le condizioni migliori di vegetazione si trovano nelle regioni meridionali verosimilmente lungo le coste.

Piante di indubbio interesse ornamentale, vanno bene sia singolarmente che in gruppo. Non sembrano essere invasive.

La distanza ottimale tra le piante deve essere oltre i 5-6 metri per poter valorizzare la fioritura.

Per approfondimenti

Bean A.R. 2008. A taxonomic revision of Erythina L. (Fabaceae: Faboideae) in Australia. Austrobaileya 7: 641-658.

Coates Palgrave M. et. Al. 2003. Trees of southern Africa. 3rd edition. Struik, Cape Town, pp.1000.

Di Gristina E., Scafidi F., Calvo R., Venturella G., Gargano M. L. 2020. The urban vascular flora of Palermo (Sicily, Italy). Plant Biosystems 154 (5): 627-634.

Domina G., Raimondo F.M. 2011. Erythrina viarum  Tod. (Leguminosae) from the Palermo Botanical Garden. Webbia66 (2): 235–238.

Krukoff B.A., Barneby R.C. 1974. Conspectus of species of the genus Erythrina. Lloydia 37 (3): 332-459.

Kumar S., Sane P.V. 2003. Legumes of South Asia. A Checklist. Royal Botanic Gardens, Kew, pp. 536.

Lock J.M. 1989. Legumes of Africa a check-List. Royal Botanic Gardens, Kew, pp. 619.

Lozano E.C., Zapater M.A. 2010. El Género Erythrina (Leguminosae) en Argentina. Darwiniana 48: 179-200.

Mabberley D.J. 2017. Mabberley’s Plant-book: A Portable Dictionary of Plants, their Classification and Uses Cambridge University Press; 4th edition, pp. 1120.

Martins M.V. 2020. Erythrina. Flora do Brasil 2020. Jardim Botânico do Rio de Janeiro. https://floradobrasil2020.jbrj.gov.br/FB29679

Martins M.V, Goulart De Azevedo Tozzi A.M. 2018. Nomenclatural and taxonomic changes in Brazilian Erythrina (Leguminosae, Papilionoideae, Phaseoleae).The Journal of the Torrey Botanical Society 145 (4): 398-402.

Van Wyk B., Van Wyk P. 1997. Field Guide to Trees of Southern Africa. Struik Publ, Cape Town, pp. 536.

Siti web

https://www.cabidigitallibrary.org/doi/10.1079/cabicompendium.22015

https://www.gbif.org/species/5349719

https://powo.science.kew.org/taxon/urn:lsid:ipni.org:names:494400-1

https://pza.sanbi.org/erythrina-caffra

https://www.worldfloraonline.org/taxon/wfo-0000180641

,

Leave a comment

Albero del drago

E’ un albero famoso (Dracaena draco (L.) L. subsp. draco) dal quale si può estrarre il “sangue di drago”, una gomma-resina rossastra, usata nella farmacopea fino dall’ antichità, e ora di vivo interesse come anticancerogena. Una specie in via di estinzione e protetta nella sua area di origine..

Monocotiledone, sempreverde, può raggiungere 20 m di altezza e 6 m di diametro. Di crescita molto lenta. Tra le specie più longeve della Terra: ci sono stime (perché non forma anelli annuali) di diverse centinaia di anni.

Fusto tozzo e molto ramificato, portamento palmiforme. Foglie numerose, lanceolate, allungate  di colore verde-glauco, disposte a rosetta all’estremità dei rami. Fiori bianco-verdastri riuniti in grappoli. Frutti come una ciliegia, di colore rosso-arancio.

Specie importante nella prospettiva di un inaridimento del clima, in quanto termofila (> 5° C), arido-tollerante; nel sud Italia vegeta non oltre i 100 m di quota.

Originaria delle Isole Canarie, delle Isole di Capo Verde, di Madera e del Marocco.

Introdotta in Italia nel XVIII secolo. Nella seconda metà dell’800 in Sicilia dove è stata coltivata nei parchi e giardini avendo suscitato l’attenzione oltre che per la forma, per una sorta di attrazione misteriosa e fascinosa. A Palermo vengono segnalati individui monumentali di 590 cm di circonferenza e 12 m di altezza (Villa Malfitano) e di 700 cm di circonferenza e 7 m di altezza (Villa Lo Porto). Ora si è spontaneizzata nel Monte Pellegrino, e, nel Monte Tauro, é segnalata una numerosa popolazione.

In Calabria, l’albero del drago è stato introdotto negli anni Venti-Trenta nella Via Marina di Reggio Calabria, punto di incrocio tra clima mediterraneo e subtropicale (al netto dei cambiamenti climatici) verosimilmente con materiale proveniente da Bordighera o dalla Costa Azzurra.

Presente anche a Pantelleria e in Sardegna.

Specie ornamentale di eccellenza. Oggi di grande interesse in quanto adatta a pendii e anfratti rocciosi sconnessi, in ambiente caldo-arido, dove poche specie riescono a vegetare, assieme a Euphorbia dendroides, Opuntia ficus-indica, Ficus carica, Olea  e Juniperus spp.

Per approfondimenti

Almeida Pérez R.S. 2003. Sobre la presencia de Dracaena draco (L.) L. En gran Canaria (Islas Canarias): Aportación corológica, estado actual y significación biogeográfica. Bot. Macarónesica  24: 17–38.

Bartolucci F.,  L. Peruzzi  G. Galasso, A. Albano, A. Alessandrini, N. M. G. Ardenghi, G. Astuti, G. Bacchetta, S. Ballelli, E. Banfi, G. Barberis, L. Bernardo, D. Bouvet, M. Bovio, L. Cecchi, R. Di Pietro, G. Domina, S. Fascetti, G. Fenu, F. Festi, B. Foggi, L. Gallo, G. Gottschlich, L. Gubellini, D. Iamonico, M. Iberite, P. Jiménez-Mejías, E. Lattanzi, D. Marchetti, E. Martinetto, R. R. Masin, P. Medagli, N. G. Passalacqua, S. Peccenini, R. Pennesi, B. Pierini, L. Poldini, F. Prosser, F. M. Raimondo, F. Roma-Marzio, L. Rosati, A. Santangelo, A. Scoppola, S. Scortegagna, A. Selvaggi, F. Selvi, A. Soldano, A. Stinca, R. P. Wagensommer, T. Wilhalm,  F. Conti 2018. An updated checklist of the vascular flora native to Italy, Plant Biosystems – An International Journal Dealing with all Aspects of Plant Biology, 152 (2): 179-303.

Benabid A., Cuzin F. 1997. Populations de dragonnier (Dracaena draco L. ssp. ajgal Benabid et Cuzin) au Maroc:  valeurs  taxonomique, biogéographique et phytosociologique. C. R. Acad. Sci. Paris, Serie III, 320: 267–277.

Celesti-Grapow L., Pretto F., Carli E., Blasi C. 2010. Flora alloctona e invasiva delle regioni d’Italia. Casa Editrice Università La Sapienza, Roma, pp. 208.

Domina G., Amato F. 2011. Dracaena draco (Dracaenaceae) spontaneizzata a Palermo (Nord Sicilia). Quad. Bot. Amb. Appl., 22: 25-26.

Jura-Morawiec J., Tulik M. 2015. Morpho-anatomical basis of dragon’s blood secretion in Dracaena draco stem. Flora 213: 1–5.

Jura-Morawiec J., Tulik M. 2016. Dragon’s blood secretion and its ecological significance.  Chemoecology DOI 10.1007/s00049-016-0212-2

Jura-Morawiec J. 2019. Rhythmic growth and age estimation of aerial roots in Dracaena draco (Asparagaceae). Trees 33: 1513–1518.

Krawczyszyn J., Krawczyszyn T. 2016. Photomorphogenesis in Dracaena draco. Trees Struct. Funct. 30: 647–664. 

Lopez T. 1990. Gli alberi della Via Marina. Edizione Rodes Magna Grecia, pp. 159.

Madera, P., Attorre, F.; Habrová, H.; Van Damme, K. 2021. Dragon Trees, Tertiary Relicts in Current Reality. Forests 12, 756.

Maniero F. 2015. Cronologia della flora esotica italiana. Olschki, pp. 416..

Raimondo F.M., Fici S. 1991. Nuovi reperti della flora esotica in Sicilia. Naturalista Siciliano s 4 15 (3-4): 155-160.

Symon D.E. 1974. The growth of Dracaena draco-dragon’s blood tree. J. Arnold Arbor. 55: 51–58.

Siti web

https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11257

https://www.monumentaltrees.com/en/ita-dracaenadraco/sicily

https://www.iucnredlist.org/species/30394/119836316

https://powo.science.kew.org/results?q=Dracaena

Leave a comment

Parkinsonia aculeata L. in Italia

Leguminosa, semidecidua, nativa delle zone aride e semiaride dagli Stati Uniti (Texas, Arizona),  Messico (Sonora, Chihuahua) al centro-sud America, è stata introdotta in vari Paesi, in Italia nell’Orto Botanico di Palermo nel 1789.

Conosciuta in Italia come ginestra spinosa. Nel Medio Oriente come Jerusalem-thorn anche se non ha alcun significato geografico. Oppure come Mexican Palo Verde, شوكة الفرس.

Alberello che raggiunge un altezza di 6 (10) m e un diametro del fusto di 25-30 cm e della chioma di 3 m, di rapido accrescimento.

Chioma a ombrello leggera, dai rametti pendenti, di un gradevole verde attenuato, impreziosita dai caratteristici fiori gialli primaverili, fragranti. Spine alla base delle foglie e nel fusto. Si riproduce abbondantemente per seme a partire dai 5-6 anni e per polloni. Non fissa azoto.

Esigente di luce, non tollera le basse temperature. Vegeta anche con precipitazioni di 250 mm annui. Si adatta a suoli poveri, aridi, sabbiosi comunque ben drenati, resiste al vento e alla salsedine. In Italia vegeta nelle regioni meridionali e nelle coste liguri fino a 200 m di quota.

Pianta ornamentale, può andar bene negli ambienti urbani dove c’é bisogno di piccoli alberi come nelle strade delle zone costiere, (con un distanza di 3 m tra le piante) o per ombreggiare. E’ da evitare nelle zone frequentate da bambini per le spine. Può essere usata come siepe difensiva con una distanza tra le piante di 1.50-2.00 m. Adatta al restauro delle zone aride degradate, per la difesa dall’erosione. Comunque è da valutare bene l’impiego perché in Italia, e non solo, è considerata una esotica invasiva. Specie mellifera, produce legna da ardere e foraggio per animali.

Per approfondimenti

Abohassan, A.A., Rudolph, V.J., 1978. Afforestation for sand dune stabilization in Al Hassa Oasis, Saudi Arabia. In: Proceedings of the First International Rangeland Congress, (Hyder, D.N. ed.). Denver, Colorado, USA: Society for Range Management, 257-259.

Acevedo-Rodríguez, P. et al. 1996. Flora of St. John, U.S. Virgin Islands. Mem. New York Bot. Gard. 78: 1-581.

Bartolucci F.,  L. Peruzzi  G. Galasso, A. Albano, A. Alessandrini, N. M. G. Ardenghi, G. Astuti, G. Bacchetta, S. Ballelli, E. Banfi, G. Barberis, L. Bernardo, D. Bouvet, M. Bovio, L. Cecchi, R. Di Pietro, G. Domina, S. Fascetti, G. Fenu, F. Festi, B. Foggi, L. Gallo, G. Gottschlich, L. Gubellini, D. Iamonico, M. Iberite, P. Jiménez-Mejías, E. Lattanzi, D. Marchetti, E. Martinetto, R. R. Masin, P. Medagli, N. G. Passalacqua, S. Peccenini, R. Pennesi, B. Pierini, L. Poldini, F. Prosser, F. M. Raimondo, F. Roma-Marzio, L. Rosati, A. Santangelo, A. Scoppola, S. Scortegagna, A. Selvaggi, F. Selvi, A. Soldano, A. Stinca, R. P. Wagensommer, T. Wilhalm,  F. Conti 2018. An updated checklist of the vascular flora native to Italy, Plant Biosystems – An International Journal Dealing with all Aspects of Plant Biology, 152 (2): 179-303.

Bazan G., Geraci A., Raimondo F. M. 2005. La componente floristica dei giardini storici siciliani. Quad. Bot. Amb. Appl., 16: 93-126.

Bazan G., Marino P., Orlando A.M. 2011. Nuovi dati sull’espansione di Parkinsonia aculeata (Caeasalpinaceae) in Sicilia. Quad. Bot. Amb. Appl., 22: 27-30.

Celesti-Grapow et al. 2009. Inventory of the non-native flora of Italy. Plant Biosystems 143 (2): 386–430

Dimmitt, M.A. 1987. The hybrid Palo Verde “Desert Museum”: a new, superior tree for desert landscapes. Desert Plants, 899-103.

Hocking, D. (ed), 1993. Trees for drylands. New York, USA: International Science Publisher, pp. 370.

Koeser, A.K., Friedman, M.H., Hasing, G., Finley, H., Schelb, J. 2017. Trees: South Florida and the Keys. University of Florida Institute of Food and Agricultural Sciences.

Isley D. 1975. Leguminosae of the United States: II. Subfamily Caesalpinioideae. Mem. New York Bot. Gard. 25 (2): 1-228.

Little E.L., Jr., Wadsworth F.H., 1964. Common trees of Puerto Rico and the Virgin Islands. – Agriculture Handbook 249. U.S. Department of Agriculture, Forest Service, Washington, DC, pp. 548.

Luna, R.K., 1996. Plantation trees. Dehra Dun, India: International Book Distributors, pp. 993.

Schubert T.H. 1979.Trees for urban use in Puerto Rico and the Virgin Islands. Institute of Tropical Forestry USDA F.S., pp.91.

Siti web

https://www.cabidigitallibrary.org/doi/10.1079/cabicompendium.38519

https://www.worldfloraonline.org/taxon/wfo-0000170206

http://www.ildis.org/

Leave a comment

Cachi ornamentali

I cachi o diospiri o loti (Genere Diospyros L.) sono molto conosciuti come specie da frutto, meno dal punto di vista ornamentale.

D. lotus L.

Alberello deciduo, dioico, raggiunge i 12 m.

Originario dell’ Armenia, Persia e Cina, coltivato in Italia fin dal Cinquecento, è inselvatichito.

Fioritura tra maggio e luglio. I frutti (bacche) commestibili sono dei piccoli cachi in miniatura, grandi come un ciliegia, maturano a novembre, ovviamente sulle piante femminili.

Usato come portainnesto per le CV da frutto e come specie ornamentale. Pianta abbastanza infrequente. Andava di moda all’ inizio del ‘900 nei giardinetti dei villini toscani (perché occupa poco spazio) accanto a palma cinese, ligustro del Giappone, acanto, aspidistria.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è rm-4-2023.jpg

Abbastanza rustico, predilige terreni calcarei purché ben drenati, tollera la mezza ombra, resistente al freddo (più di quanto si legge – 10 °C, infatti in Toscana ha resistito alla gelata di -20 °C nel 1985). Si trova fino a 300 m di quota nell’Italia centrale.

Ottimo legno, del resto fa parte dello stesso genere di un altro albero a legname pregiato, più noto, come l’ebano (D. ebanum).

Il nome di ‘Albero di Sant’Andrea’ deriva dal fatto che Sant’Andrea sarebbe stato martirizzato su una croce di questo legno (Gen. Diospyros): ipotesi plausibile ma non dimostrata, dal momento che la vicenda è avvenuta in Grecia nel I sec d. C. Invece mangiare i frutti il 30 novembre, come devozione verso il Santo, potrebbe avere un senso se collegata al periodo di maturazione dei frutti, ovviamente non di questa specie ma di D. kaki.

D. kaki Thunb.

Alberello deciduo, longevo, dioico, alto fino a 15 m, spesso non oltre 6-7 m. Chioma per lo più arrotondata, larga oltre 5 m. Apparato radicale superficiale.

Originario del Giappone, Cina, India, rispetto a D. lotus è stato coltivato Italia nel primo quarto dell’Ottocento.

La specie e le CV sono di interesse per i frutti, che però, assieme alle foglie, sono di notevole pregio estetico.

I frutti compaiono dopo 3-4 anni dalla messa a dimora,  sono grosse bacche di colore dal giallo verso l’arancio.  Frutto tipico del mese di novembre come dimostra la sagra di  Misilmeri in Sicilia.

Le foglie verdi, lucide, diventano gialle-rosse in autunno, ma se la chioma non è illuminata le foglie rimangono verdi. I frutti restano sulla pianta dopo la caduta delle foglie, dal mese di novembre fino al primo periodo invernale, punteggiando la chioma con questi globi arancione.

Albero ubiquitario per quanto riguarda il suolo, compresi quelli argillosi purché drenati. Specie dei climi caldi e temperati, ma molto versatile e tollerante anche verso le basse temperature, in Toscana ha resistito alla gelata di -20 °C nel 1985. Vegeta fino a 400 m nell’Italia centrale. Si adatta e fruttifica anche nella mezza ombra, ma ai fini ornamentali è meglio non rischiare e preferire solo le posizioni ben illuminate.

Tra le CV più  diffuse: ‘Vaniglia’, (edule alla raccolta, tipica della Campania, ma anche al centro nord), ‘Cioccolatino’ (impollinatore, edule alla raccolta), ‘Jiro’ (centro-sud, edule alla raccolta), ‘Hana Fuyu’ (edule alla raccolta), ‘Giant Fuyu’ (edule alla raccolta), ‘Rojo Brillante’ (centro-sud, non edule alla raccolta). Di maggiore interesse ornamentale per la colorazione delle foglie e dei frutti: ‘Great Wall’, ‘Tanenashi’, ‘Sheng’, ‘Zhongshi3’. A questi fini sarebbe interessante anche D. virginiana,  ma in Italia non si trova nei vivai.

I cachi si  usano per il consumo fresco, quelli che non sono eduli alla raccolta devono subire il processo di ammezzimento tra le mele. Inoltre con i cachi si possono fare marmellate, grappe e aceto.

La messa a dimora e la cura

Il periodo migliore è il tardo autunno (novembre-dicembre) o la fine dell’inverno (febbraio-marzo). Occorre aprire una buca di 80×80 cm, profonda 60-80 cm. Se il terreno fosse poco permeabile (molta argilla), sarebbe bene aggiungere materiale drenante, oltre a compost maturo. Importante un apporto idrico post impianto di 15-20 litri a pianta.

Il materiale vivaistico di buona qualità ha un altezza media di 1,50 m, in zolla o in vaso, di 2-3 anni, il costo orientativo è di (10) 15-20 (25) euro. Sono disponibili sul mercato anche soggetti di grandi dimensioni, provenienti da trapianti.

La potatura di ripulitura e/o di riequilibrio della chioma (in caso di rami stroncati), si esegue alla fine della stagione invernale, in ogni caso non deve mai interessare i rametti giovani che andranno a fruttificare. Le brutte capitozzature delle piante pur di mantenerle negli spazi cittadini ristretti (piazzette e quant’altro), si evitano con una adeguata e diversa collocazione dei cachi.  

La collocazione

La posizione migliore nel giardino è allo stato isolato, ma non in una zona esposta ai venti, in modo che la pianta possa avere un ampio spazio attorno, quindi in un ambiente ben illuminato.

I piccoli gruppi geometrici (rispettando sempre una distanza tra una pianta e l’altra di 6-7 m) rischiano di creare un effetto ’frutteto’ non di particolare pregio estetico. Meglio un filare, o un doppio filare sfalsato.

Se si usano gli individui femminili lungo le strade e nei parcheggi, bisogna tener conto che, con la caduta dei frutti,  si imbrattano le pavimentazioni con la polpa gelatinosa, cosa che non avviene se si mettono a dimora le piante maschili, che non producono frutti.

La diffusione per polloni radicali del caco ha due risvolti: uno positivo per il controllo dell’erosione del suolo, è uno negativo per l’invasione nelle formazioni vegetali naturali.

Per approfondimenti

Aloi B. 1982. Il Kaki. Reda, Roma.

Ferrini, F., Pennati L. 2008. Gardens and Panoramic Views in Tuscany: The Ornamental Role of Persimmons. Advances in Horticultural Science 22 (4): 255–260.

Fioretto N., Russo R. 2019. Cachi, il frutto misterioso. Graphe, pp. 124

Fu J., Sun P., Zhang D., Han W., Diao S., Suo Y., Du G., Li F. 2018. Diospyros kaki Thunb. ‘Zhongshi 3’ for both fruits and ornamentals. Acta Hortic. 1195, 65-70.

Hosseininejad S, González CM, Hernando I, Moraga G. 2022. Valorization of Persimmon Fruit Through the Development of New Food Products. Front. Food. Sci. Technol. 2: 914952.

McMillan Browse P. 1996. Persimmon. The Mediterranean Garden 6 (Autumn): 28-30.

Morettini A. 1949. Il Kaki o Diospiro. Reda, Roma.

Occhialini O., Tirocco G.B. 1923. Il Diospyros kaki (loto del Giappone). Francesco Battiato Ed., Catania.

Pignatti S. 2017-2019. Diospyros lotus L. Flora d’Italia, vol. 3 pag 7.

Pucci A. 1890. Il Diospyros kaki. Bollettino Società Toscana di Orticoltura.

Saccardo P.A. 1971. Cronologia delle flora italiana. Edagricole, pp. 210, 346.

Spadaro V., Raimondo F.M. 2013. Principi di spontaneizzazione di Diospyros kaki (Ebenaceae) in Sicilia. Quaderni di Botanica Ambientale e Applicata, 22 (2011), 117-118.

https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/un-frutto-esotico-in-orti-giardini-e-al-supermercato-il-diospyros-kaki-l/73

,

Leave a comment

Araucaria: bella ma da tenere lontano

Araucaria araucana (Molina) K.Koch nota, impropriamente in italiano come pino del Cile perché non è un pino, pehuén  in spagnolo, o meglio in inglese come monkey puzzle  per dire che alle scimmie viene il rompicato per salire in quell’albero.

Originaria della Cordigliera delle Ande cilene e argentine su suoli vulcanici, granitici con precipitazioni estremamente variabili da (600) 1500 a 3500 (4500) mm. Forma popolamenti puri (diversamente si mescola di frequente con Nothofagus  sp.). Spettacolari soggetti si trovano nel Parque Nacional Nahuelbuta in Cile https://www.conaf.cl/parques/parque-nacional-nahuelbuta/, sono tra i boschi più belli della Terra che evocano paesaggi forestali ancestrali.

Un areale originario, ridotto e frammentato a causa del pascolo, incendi, cambio uso del suolo. Una specie vulnerabile, quindi sono state messe in atto misure di protezione e di restauro.

Abbondante rinnovazione da seme nelle buche e aperture del bosco, si rinnova anche agamicamente (polloni radicali e caulinari). Di lento accrescimento: l’incremento di altezza non supera i 10 cm all’anno, l’incremento medio annuo in volume è di 1-2 m3 a ettaro. Molto longeva: oltre i 1000 anni.

Un bell’albero per la simmetria e la forma. Fusto dritto e cilindrico. Portamento imponente, spesso piramidale allungato, con chioma simile a un ombrello da adulta. Raggiunge 50 m di altezza e 2 m in diametro nella sua area di origine. Una pianta di 85 anni mostra, in un giardino toscano, 170 cm di circonferenza e un’ altezza di 17 m.

Specie dioica. La fruttificazione inizia intorno ai (20) 25 anni. I semi piñones hanno rappresentato una delle principali fonti di alimentazione delle popolazioni indigene (pewenche: “popolo del pehuén”). Capace di colonizzare zone devastate da grandi disturbi naturali.

Foglie persistenti, sessili, sparse attorno al ramo, ovato-acute, rigide, pungenti, verde scuro lucenti.

Potente apparato radicale.

Tipica di ambienti aperti in pieno sole, non eccessivamente freddi, tollera temperature fino a -14 °C. Si adatta anche su suoli argillosi-calcarei ma sempre permeabili.

L’araucaria è stata introdotta a scopo ornamentale in Toscana nella prima metà dell’Ottocento. Ora sono ricorrenti casi di morie di piante senza una convincente spiegazione, se non generiche attribuzioni a stress climatici.

Una pianta bella da vedere nei parchi e nei grandi giardini, isolata o in gruppi (distanza tra le piante oltre i 10 m), meno adatta per i piccoli giardini: potenzialmente pericolosa per le foglie pungenti sui rami che arrivano fino a terra quando è in fase giovanile. Comunque assolutamente da non potare.

Per approfondire

Antonietti M., Nin S., Burchi G., 2019. First insight into Araucaria araucana (Molina) K. Koch under its southernmost European growing condition: a proposed descriptor list for morphological characterization. Adv. Hort. Sci., 33 (2): 283-294.

Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (edited by), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Dickson B., Fletcher M S., Hall T.L., Moreno P. I. 2021. Centennial and millennial-scale dynamics in AraucariaNothofagus forests in the southern Andes. Journal of Biogeography 48 (3): 537-547.

Donoso  C. 1978. Dendrología. Árboles y arbustos chilenos. Manual Nº 2. Facultad de ciencias forestales. Universidad de Chile. Santiago de Chile, pp.143.

Donoso C 1998. Bosques templados de Chile y Argentina. Variación, estructura y dinámica. Ecología foresta. Edición Universitaria, Universidad de Chile, Santiago, Chile, pp. 484.

Donoso C 2006. Las especies arbóreas de los bosques templados de Chile y Argentina. Autoecología. Marisa Cúneo Ediciones. Valdivia, Chile, pp. 678.

Donoso C., Gonzalez M., Cortes M., Gonzalez C., Donoso P., Hermandez M., 2008. Poblaciones de araucaria enana (Araucaria araucana) en la Cordillera de Nahuelbuta, Chile. Bosque, 29: 170-175

Fjardo A., Gonzalez M. E. 2009. Replacement patterns and species coexistence in an Andean AraucariaNothofagus forest. Journal of Vegetation Science 20 (6): 1176-1190.

Finckh M, Paulsch A. 1995. The ecological strategy of Araucaria araucana. Flora 53: 365-366.

Fuentes G. , González F., Saavedra J., López‑Sepúlveda P. , Victoriano P.F. , Stuessy T.F.,  Ruiz‑Ponce E. 2021. Assessing signals of selection and historical demography to develop conservation strategies in the Chilean emblematic Araucaria araucana. Nature Scientifc Reports 11: 20504

Herrmann T. 2006. Indigenous knowledge and management of Araucaria araucana forest in the Chilean Andes: Implications for native forest conservation. Biodivers. Conserv.15: 647–662.

Hoffmann A. E. 1991. Flora silvestre de Chile. Zona araucana. Segunda edición. Ediciones Fundación Claudio Gay. Santiago. Chile, pp. 258.

Martín MA, et al. 2014. New insights into the genetic structure of Araucaria araucana forests based on molecular and historic evidences. Tree Genet. Genomes.10: 839–851.

Molina JR, Martín Á, Drake F, Martín LM, Herrera MÁ 2015. Fragmentation of Araucaria araucana forests in Chile: quantification and correlation with structural variables. iForest 9: 244-252.

Montaldo P. 1974. La bio-ecología de Araucaria araucana (Mol.) Koch. Boletín del Instituto Forestal Latino-Americano de Investigación y Capacitación 46-48: 3–55. 

Saccardo P.A. 1971.  Cronologia della flora italiana. Edagricole, Bologna, pp. 390.

Schilling G., Donoso C. 1976. Reproducción vegetativa natural de Araucaria araucana (Mol.) Koch. Inv. Agric 2 (3): 121-122.

Veblen T. 1982. Regeneration patterns in Araucaria araucana forests in Chile. Journal of Biogeography 9: 11-28.

Varas-Myrik A, Sepúlveda-Espinoza F, Fajardo A, Alarcón D, Toro O, Castro-Nallar E, Hasbún R 2022. Predicting climate change-related genetic offset for the endangered southern South American conifer Araucaria araucana. For Ecol Manag. 504

Leave a comment

Le sequoie in Italia: conservazione e manutenzione

Le sequoie, dal nome di un capo indiano Cherokee, appartengono a due ordini diversi: Sequoia e Sequoiadendron.

Conifere originarie della costa occidente degli Stati Uniti (dall’Oregon alla California), sono state introdotte in Italia nel XIX secolo.

Alberi famosi per la loro longevità: 2500 anni e, forse ancor più, per le loro dimensioni.

Sequoia gigante- Giant Sequoia  (Sequoiadendron giganteum (Lindl.) Buchholz)

Sono molto noti i soggetti monumentali del Sequoia & Kings Canyon National Park (https://www.nps.gov/seki/index.htm). Attualmente  l’albero più grande ha un altezza di 83 m e 31 m di circonferenza alla base, con un volume legnoso di 1487 m3. In Italia nell’Arboreto di Vallombrosa  (Firenze) una pianta raggiunge 40 m di altezza e un diametro di 174 cm; nel Parco di Sammezzano (Incisa, Firenze) si arriva fino a 46 m di altezza.

Chioma conico-priramidale, regolare.

Sequoia gigante, foglie e strobili

Corteccia spessa e fibrosa profondamente fessurata di colore rosso brillante. Foglie squamiformi, lanceolate, acute, appressate, lunghe 2-6 mm.

Strobili ovato oblunghi di 4-8 cm, eretti da giovani, poi  pendenti, a maturazione biennale.

Ambienti ottimali sono quelli umidi, mentre sono inadatti quelli a clima secco. Va bene per la Regione dei Laghi.

Alcune varietà ornamentali si distinguono per la particolarità del portamento o per la colorazione delle foglie: ‘pyramidalis’, ‘pendula’, ‘pygmaea’, ‘glauca’, ‘aurea’, ecc.

Sequoia sempreverde- Redwood (Sequoia sempervirens  D.Don (Endl.)

L’albero più alto al mondo appartiene probabilmente a questa specie ed è di 110 m e con un diametro di 9 m. (http://www.efloras.org/florataxon.aspx?flora_id=1&taxon_id=200005399). Nell’Arboreto di Vallombrosa (Firenze) ci sono piante di 32 m di altezza e di 84 cm in diametro. 

Chioma piramidale irregolare.

Sequoia sempreverde (Parco del Prato, Arezzo)

Corteccia spessa spugnosa di colore rosso bruno, profondamente fessurata.

Sequoia sempreverde, tronco

Le foglie si presentano strettamente pettinate, appiattite, lunghe 12-35 mm. Da non confondere con quelle del tasso, le quali hanno nella pagina inferiore due linee stomatifere gialle, mentre nella sequoia sono bianche..

Sequoia sempreverde pagina superiore
Sequoia sempreverde, pagina inferiore

Fruttificazione dai 30-40 anni, annualmente abbondante. Strobili persistenti lunghi 20-25 mm, rosso-bruni.

Caratteristica della specie é la capacità di emettere polloni alla base del tronco. Si riproduce agamicamente per  polloni radicali e talee.

Polloni alla base di una sequoia sempreverde

Ambienti  ideali sono quelli umidi a inverni non troppi rigidi, suoli freschi e profondi.

Sono piante che in Italia non hanno dimostrato, dalla sperimentazione, alcun interesse forestale (semmai la S. sempreverde) ma solo ornamentale.

Le sequoie sono frequenti nei parchi e negli arboreti Ottocenteschi e di inizio ‘900. Per le loro dimensioni e curiosità dendrologiche meritano una attenta conservazione, tenendo presente i fattori limitanti (scarse disponibilità idriche e temperature inferiori ai 10 °C).

Su alberi centenari sono frequenti danneggiamenti alla chioma o al fusto dovuti a fatti naturali (fulmini, tempeste, ecc,) o causati dall’ uomo. Gli interventi consistono dopo una accurata diagnosi preliminare, nella eliminazione di tutte le parti della chioma deperienti, o secche (se non altro per motivi di sicurezza). All’ occorrenza possono essere necessari veri e propri interventi di precisione dendrochirurgica; in questi casi, dopo l’eliminazione delle parti compromesse o su ampie ferite, bisogna disinfettare con prodotti specifici e poi ricoprire con  sostanze cicatrizzanti (le cosiddette cortecce artificiali).

Lavori di dendrochirurgia in sequoia sempreverde colpita da fulmine

Letture consigliate

Allegri E. 1970. Index Vallis Umbrosae. Annali dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, Vol. I, 1-198.

Burns, Russell M; Honkala, Barbara H.; Technical coordinators 1990. Silvics of North America: Volume 1. Conifers. United States Department of Agriculture (USDA), Forest Service, Agriculture Handbook 654.

Cenerini M., Edlmann Abbate M.L. 1996. Usi e proprietà  tecnologiche dei legni di conifere. CNR, Istituto per il Legno, Firenze, Fasc. XXXVIII.

Ciancio O., Mercurio R., Nocentini S. 1984. Le specie forestali esotiche e le relazioni tra arboricoltura da legno e selvicoltura. Annali dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, Vol.XII, (1981): 1-106.

Dallimore W., Jackson A. Bruce. 1967. A handbook of Coniferae and Ginkgoaceae. 4th ed. Revised by S. G. Harrison. St. Martin’s Press, New York, pp. 729.

Debazac  E. 1964. Manuel des conifères. Engref, Nancy, pp. 172.

Ducci F., Tocci A. 1991. Gli arboreti sperimentali di Vallombrosa. Collana Verde 82, MAF, Roma.

Festa F.P., Gambi G. 1978. Variazione stagionale del potenziale rizogeno naturale e indotto in talee di Sequoia sempervirens  Endlicher. Annali Istituto Sperimentale per la Selvicoltura IX: 71-90.

Fiori A. 1912.  Le sequoie dl Parco di Sammezzano nel Valdarno. Boll. Soc. Tosc.  Ortic. 37: 8-15.

Fratus T. 2014. L’Italia è un bosco. Laterza, pp. 216,

Fratus T.  2019. Giona delle sequoie. Bompiani, pp. 320.

Gradi A. 1972. Il Pinetum di Moncioni con L’antico Catalogo sistematico di Giuseppe Gaeta.  MAF- ASFD, Ufficio per la produzione di semi forestali, Pieve Santo Stefano (Arezzo).

Little, Elbert L., Jr. 1979. Checklist of United States trees (native and naturalized). Agriculture Handbook 541. USDA Forest Service, Washington, DC, pp. 375.

Pavari A. 1921. Studio preliminare sulla coltura di specie forestali esotiche in Italia. II:parte descrittiva. Sez. I: conifere. Annali R. Istituto superiore forestale nazionale, vol. VI, pp. 337.

Pavari A., De Philippis A. 1941. La sperimentazione di specie forestali esotiche In Italia. Risultati del primo ventennio. Annali della Sperimentazione Agraria, Vol. XXXVIII, Roma

Perrone V. 2000. Conifere. Collana Verde 101, MAF, Roma.

Piirto, Douglas D., Hawksworth W. John, Hawksworth Marjorie M.. 1986. Giant sequoia sprouts. Journal of Forestry 84 (9): 24-25.

Powers, R F.,  Wiant H. V., Jr. 1970. Sprouting of old-growth coastal redwood stumps. Forest Science 16:339-341.

,

Leave a comment

Melograno: colori e simboli

Il melograno Punica granatum L. ha la sua area naturale di vegetazione tra il Medio Oriente e l’Himalaya. Diffuso da millenni nel Mediterraneo per i frutti, le proprietà medicinali dell’intera pianta sono note da tempo, come pure il valore ornamentale e simbolico. In Italia è coltivato fin dall’ epoca Romana.

Nelle rivendite di frutta in Palestina non manca mai il melograno

Dendrologia

Albero di terza grandezza, dall’apparenza cespugliosa in quanto sviluppa più fusti dalla base, raggiunge un altezza di 5 (15) m allo stato spontaneo, 4 m in coltivazione, 2-3 m le cv da fiore e 0,80 m quelle nane. Sebbene ci siano in Europa piante di 200 anni, il suo declino inizia a 15 anni.

Apparato radicale fittonante ma molto ramificato. Fiori maschili a “campana”, fiori ermafroditi più lunghi “a vaso” portati all’apice dei rametti dell’anno o di 2 anni, di norma rosso scarlatto. Fioritura scalare da maggio (massima giugno/luglio) a agosto. Ci può essere la doppia fioritura e in alcune cv ornamentali fino a 3 volte. Il frutto è una balausta di consistenza carnosa che matura in autunno.

La maggior parte delle cv sono decidue. In Italia il melograno si comporta come sempreverde al sud e come spogliante al nord, qui la chioma appare bronzata in autunno-inverno fino a primavera.

Punti di forza sono la fioritura, in genere rosso-arancio, di 3-4 mesi e i grossi frutti  normalmente rossi in autunno.

Fioritura nel mese di giugno

Autoecologia

Il melograno ha trovato condizioni ottimali di vegetazione nelle regioni mediterranee.

Obbligatorie le posizioni soleggiate, tollera temperature minime fino a -5 °C (alcune cv centro asiatiche Afganski’ e ‘Salavatski’ oltre -14°C), quindi va riparato dai venti freddi.

Tollera la siccità estiva, ma bisogna irrigare in primavera, un eccesso di acqua fa spaccare i frutti e i  ristagni idrici possono essere letali.

Pianta rustica. Va bene anche su terreni poveri, calcarei, preferisce quelli con pH 5.5-7,  esclusi i suoli argillosi.

Simbologia

Una pianta dai  grandi trascorsi culturali, trasversale a molte culture religiose e laiche.

Una simbologia forte e augurale, buon auspicio, fertilità (dalla divinità semitica Hadadrimmon), abbondanza.

Frutto nel mese di settembre

Pianta sacra per Fenici. Nell’ Antico Egitto era legata ai riti funebri e al culto dei Faraoni.  La melagrana, per i suoi numerosi semi, rappresenta la fecondità, la discendenza numerosa, e questo, nell’ antica Grecia era un attributo di Era e di Afrodite.  A Roma le spose venivano acconciate con rami di melograno.

Nella Bibbia ci sono 23 citazioni. Il libro dell’Esodo (Es 28, 33-34) prescrive che le immagini delle melagrane siano cucite sugli abiti rituali dei Grandi Sacerdoti. In 1 Re 7, 18-20:42 le melagrane ornavano gli enormi capitelli di bronzo che sormontavano le colonne all’ entrata del Tempio di Salomone. La melagrana è uno dei sette frutti elencati nella Bibbia (Dt 8,8) come speciali prodotti della “Terra Promessa”. La “corona”, residuo del calice fiorale che rimane nella parte apicale del frutto, indica nella simbolistica ebraica la santità. Sempre nella simbologia ebraica il melograno è segno di onestà e di rettitudine, dal momento che il suo frutto ha 613 semi, quante sono le 613 prescrizioni riportate nella Torah, (365 divieti e 248 obblighi). I libri della Torah quando non sono in lettura, e quindi sono avvolti, vengono  protetti da gusci in argento a forma di melagrane.

La mistica cristiana rilegge la fecondità in senso spirituale. Nell’iconografia diventerà quindi simbolo di martirio. Un martirio però fecondo. In molti dipinti é un Gesù Bambino a tenere in mano una melagrana. In questi casi è un simbolo anticipatore della Passione, infatti il colore del suo succo richiama il sangue.

Nel Corano la sola citazione dendrologica è quella del Melograno (in arabo rum’an) [Sura VI Al-An’âm v.141], [Sura LV Ar-Rahman v. 68].

Praticamente impossibile destreggiarsi sulle numerose entità sottospecifiche anche per le confusioni nomenclaturali, in sintesi si possono prendere in considerazione alcune cv attualmente reperibili in Italia:

Melograni da frutto

 ‘Wonderful’, la più commercializzata e conosciuta nel Mondo

‘Acco’

‘Parfianka’

‘Mollar de Elche’

‘Gigante del Convento’

 ‘Dente di cavallo’, la più diffusa in Italia

‘Neirama’

‘Profeta di Partanna

‘Selinunte’

‘Grossa di Faenza’

‘Primo Sole’

Punica granatum ‘Legrelleae’

Melograni ornamentali

‘Legrelleae’, fiore doppio rosa-arancio bordato di  bianco

 ‘Rubro Plena’, fiore rosso arancio

‘Albescens Flore Pleno’, fiore bianco

‘Maxima rubra’, fiore rosso arancio

‘Flore Pleno Luteo’, fiore giallastro

 ‘Flavescens’, fiori gialli

‘Multiplex’, fiori doppi bianchi

 ‘Pleniflora’, fiori doppi scarlatto

 ‘Nero’ / ‘Fruits Violets’, frutti neri, viola scuro

Melograni  nani

 Sono essenzialmente da fiore, i frutti sono pochi, piccoli, non eduli.

 ‘Nana’, fiore rosso arancio

‘Chico’, fiore rosso arancio

Accorgimenti colturali

Nel complesso è una pianta che ha bisogno di poche cure.

Ai fini ornamentali è meglio una crescita libera per apprezzare appieno la sua bellezza.

La potatura va limitata alle parti secche e malate per non penalizzare fiori e frutti. Un alleggerimento della pianta riguarda l’eliminazione dei polloni cresciuti alla base.

Le distanze  tra le piante frutto sono di 4-6 m, per quelle da fiore possono essere anche di 3 m.

Il melograno si può accompagnare a mandorlo, corbezzolo, giuggiolo, olivo, cipresso.

Le cv da fiore non hanno spine, sono compatibili con i bambini e gli animali domestici.

I melograni nani allevati in vasi di terracotta del diametro  > 60 cm, vanno rinvasati ogni 2-3 anni.

Per approfondimenti

Barone, E., T. Caruso, F.P. Marra, and F. Sottile. 2001. Preliminary observations on some Sicilian pomegranate (Punica granatum L.) varieties. J. Am. Pomol. Soc. 55:4–7.

Chevalier J. Gheerbrant A. 1999.Diziomario dei simboli. Rizzoli, pp 1216

De Gubernatiis A. 2010. Mitologia delle piante. M.I.R. Edizioni, pp.223.

Eliade M. 1976. Trattato di storia delle religioni. Boringhieri, Torino, pp. 536.

Eliade M. 2007. Immagini e simboli. Jaka Book, Milano pp. 157.

Holland D.; Hatib K.; Bar-Ya’akov I. 2009. Pomegranate: Botany, horticulture, breeding. Hortic. Rev., 35, 127–191.

Mercurio R., Mercurio C. 2013, Alberi Sacri. Conoscenze per la progettazione degli spazi verdi nei luoghi di culto. Aracne editrice, Roma pp. 164.

Menghini A. 2004. Il giardino dello spirito. Aboca Museum Edizioni, pp. 253.

Przewozny B.J. (a cura di) 1993. Ara Viridis. Alberi e piante nelle culture religiose, con introduzione (pp. 13 – 15), Roma: CFSA (Centro Francescano di Studi Ambientali) – MAF/CFS (Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste/Corpo Forestale dello Stato), Telligraf, pp. 127.

Przewozny B.J., 1997. Alberi e piante nella tradizione cristiana. In: Rendiconti della Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie e scienze fisiche e naturali, a cura di L. Amerio et al., Atti del Convegno, Roma, 11 Novembre 1994, a cura di D. Bagnara, Serie V, Vol. XXI, Parte II, Tomo I, 1997, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, 1997, pp. 137 – 142.

Sarkhosh A.; Yavari A.; Zamani Z. 2020. The Pomegranate: Botany, Production and Uses; CABI Publishing: Wallingford, Oxfordshire,UK,; pp. 600.

Scortichini M. 1986. Fruttiferi minori dell’ecosistema mediterraneo. Frutticoltura 6/7, pp. 48.

Zohary M. 1982. Plants of the Bible. Cambridge Univer­sity Press, pp. 224.

Zoppi M. 2008. Piante, fiori e profumi della Bibbia. Alinea, Firenze, pp.12

.

Leave a comment

PNRR e la scelta delle piante

La posta in gioco di questo segmento del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resistenza) è di 330000000 euro a beneficio delle 14 città metropolitane per la messa a dimora di almeno 66000000 alberi su una superficie di 6600 ettari di foreste urbane e periurbane entro il 2024.

I media hanno dato ampio risalto sul fatto che mancano le piantine da mettere a dimora, a cui si è cercato di aggirare l’ostacolo sostenendo che abbiamo sì  i semi, ma che li piantiamo prima vivaio e poi li metteremo a dimora nel posto giusto dove con il tempo diventeranno degli alberi.

La Prof.ssa Nicoletta Ferrucci dell’Università di Firenze ci ha fatto un quadro aggiornato e illuminante sulla vexata quaestio. Brava, Grazie. Certo un quadro complesso, e difficile. La Commissione Europea avrà un bel da fare per risolvere le incertezze interpretative tra planting e transplanting, non saranno sufficienti i più raffinati giuristi europei senza l’aiuto di filosofi, teologici, psicologi, linguisti, psicolinguisti, esperti di televendite e incantatori di serpenti.

Per passare a qualcosa di più semplice, nessuno sembra essersi preoccupato delle specie arboree e arbustive da mettere a dimora.

Nel piano di forestazione urbana si è imposto l’impiego di  “alberi e arbusti autoctoni coerenti con la vegetazione naturale potenziale”, benevolmente si aggiunge che si potranno impiegare anche altre specie, mantenendo però “lo stesso livello di coerenza biogeografica e ecologica con la vegetazione naturale potenziale”. Così come è stata posta la questione è quanto meno discutibile e non si capisce allora perché si fanno gli elenchi delle specie da impiegare per le varie città.

Si è detto “l’albero giusto nel posto giusto” in termini ecologici, biogeografici, ecoregionali. Va bene, ma la storia della vegetazione e il paesaggio non contano in Italia?

Secondo le liste predisposte, nella città metropolitana di  Firenze e nelle sue colline si può usare senza problemi la Betula pendula Roth, mentre qualche solerte funzionario potrebbe obiettare sull’uso del cipresso, con buona pace degli Etruschi e dei soldi spesi per selezionare i cloni di cipresso resistenti al cancro dal CNR.  

Questo serve per far capire quanto in questa vicenda, e non solo questa, abbia pesato la provenienza scientifica.

Va bene il riferimento alla vegetazione naturale potenziale in altri ambiti, ad esempio nel restauro ecologico, ma in ambienti urbani e periurbani storicizzati, alterati e compromessi, nascono delle perplessità.

Perché é accaduto questo? Perché questa asimmetria?  Forse perché la maggioranza dei tecnici comunali o dei Carabinieri Forestali addetti alla istruttoria e al controllo dei progetti sono esperti fitosociologi ? Senza voler giudicare le professionalità di nessuno se non dopo averle accertate, è possibile.

Un’altra risposta plausibile sarebbe da ricercare nella forza delle lobby accademiche sui Ministeri. Come è noto, ognuno vende quello ha, quindi le sue competenze. In questo modo però non si rappresenta la realtà per quella che è, ma per quella che si vuol far credere che sia, allo scopo di trarre prestigio e non solo.

La scelta delle piante in ambito urbano e periurbano è qualcosa di molto più complesso di una tabella fitosociologica, in quanto entrano in gioco la salute umana, il rapporto con l’edificato, la storia, la cultura, la bellezza, il paesaggio, la sensibilità, la familiarità, la funzionalità.

Bene il contributo di tutte le professionalità, ma poi c’è bisogno di una sintesi alta non di parte, che si traduca in bellezza e efficienza. Ecco il Paesaggista, per capirsi come Pietro Porcinai, un professionista in grado di riassumere più informazioni scientifiche per fonderle in opere di valore estetico e culturale.  Figura importante da valorizzare e da mettere al servizio di tutti, non solo per i giardini dei ricchi.

L’errore, ancora una volta, é della politica (sempre con p minuscola) che non sa, che ignora, e per questo si lascia sempre condizionare da chi ha la chiave per entrare nel Palazzo. Bisogna cambiare e alla svelta.

 Siti web consigliati per approfondire

https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/pnrr-l-inganno-alberi-piantare-comprati-solo-semi/7cb82240-d2ce-11ed-b1de-c931acb2994d-va.shtml

https://www.georgofili.info/contenuti/semi-vs-alberi-una-querelle-dai-contorni-nebulosi/28451

https://www.mase.gov.it/bandi/avviso-i-progetti-di-forestazione-nelle-citta-metropolitane

https://www.prodromo-vegetazione-italia.org/serie-di-vegetazione

https://www.mase.gov.it/bandi/avviso-i-progetti-di-forestazione-nelle-citta-metropolitane

,

Leave a comment

Il falso pepe: più pregi che difetti

Il genere  Schinus comprende 29 specie attualmente accettate.

Il falso pepe o pepe rosa (Schinus  molle L.) è originario del centro-sud America (Argentina, Brasile, Cile, Paraguay, soprattutto Perù e Uruguay), portato in Europa dagli spagnoli e introdotto in Italia (Roma) già nella prima metà del ‘600.

Nella sua area naturale si trova in ambienti semi-aridi, in formazioni tipo savana.

Alberello alto fino a 12 m, ma può ramificare intorno ai 2 m, ha un diametro massimo di 40-60 cm. Latifoglia sempreverde, mantiene durante l’anno il 75% del fogliame. La chioma ha un diametro di circa 5 m. Portamento piangente (rami pendenti), foglie aromatiche, se strofinate richiamano l’odore del pepe. La fioritura, costituita da  fiorellini biancastri avviene in Italia a giugno- agosto e in autunno i fiori lasciano il posto ai frutti. In genere è una specie dioica, la produzione del polline è abbondante.

Corteccia di pianta adulta

Il frutto è una drupa tondeggiante di 0,5-0,7 cm di diametro molto simile al pepe, di colore rosa vivo brillante a maturità. I frutti sono raccolti in densi grappoli e sono presenti tutto l’anno. 

Frutti sulla pianta nel mese di luglio, Reggio Calabria

I frutti sono usati per bevande e in cucina come spezia che ricorda il pepe nero (Piper nigrum), vengono commercializzati in piacevoli confezioni assieme a pepe nero e bianco. Durante l’ultima guerra mondiale questo pepe veniva usato in Italia come succedaneo del pepe nero nei salami. Molte parti della pianta vengono usate nella medicina popolare sud americana, ma tutte le specie del gen. Schinus sono di grande interesse per la medicina ufficiale. Il legno viene utilizzato come legna da ardere, carbone o biomassa, ha una densità basale di 540-680 Kg/m3.

Foglie e frutti sono insetticidi biologici, in quanto repellenti per gli insetti.

La facoltà germinativa del seme allo stato fresco é del 40-80%. In un Kg vi sono in media 3-40000 semi. Il falso pepe tende a spontaneizzarsi nell’Italia meridionale. In molti Paesi di nuova introduzione è divenuta una specie invadente. E’ in grado di emettere polloni con la ceduazione, può essere potata anche drasticamente, ma da evitare se non si vuol perdere la sua tipica fisionomia. Sono quindi bandite le capitozzature.

Specie a rapido accrescimento, raggiunge la maturità attorno ai 20 anni. Il tempo di permanenza è di circa 100 anni in condizioni ottimali.

Il falso pepe preferisce le posizioni di pieno sole. Molto tollerante alla siccità, precipitazioni annue di 300-800 mm con 4-8 mesi di aridità estiva.

Si adatta alle alte temperature ma non a quelle basse (solo brevi episodi occasionali – 2 °C). Tipica delle zone calde del Mediterraneo dei climi di transizione verso quelli sub tropicali, dalle coste della Toscana fino alla Calabria e alle Isole, ma non oltre i 200 m di quota.

Preferisce suoli profondi a tessitura sabbiosa, franco, franco-argillosa, sempre ben drenati, con pH da 5.5 a 8.5, tollera un moderato contenuto salino.

Specie ornamentale di piacevole effetto estetico, sostituisce il Salix babylonica, nei terreni aridi, per il simile portamento piangente.  Nei viali va tenuto a una distanza maggiore di 5-6 m come pure da mura o altri manufatti.

Schinus molle

Pianta da ombra per la sua chioma ampia, leggera, folta, quindi in grado di svolgere la funzione tipica di queste specie: di riduzione della temperatura e della radiazione e di dare benessere fisico al corpo.

Specie alleleopatica ma può essere  associata alle Cactaceae (Opuntia, Agave, ecc).

Grazie all’apparato radicale che si sviluppa rapidamente, esteso e superficiale, il falso pepe è adatto per il controllo dell’erosione e la stabilizzazione dei suoli in ambienti aridi, ma ha il difetto di ribaltarsi in occasione di forti venti. Per cui è assolutamente inadatto come frangivento.

Specie interessante per la bonifica di siti inquinati, in quanto è in grado di immobilizzare i metalli pesanti.

Per approfondimenti

Arrigoni PV., Viegi L. 2011. La flora vascolare esotica spontaneizzata della Toscana. Centro stampa Giunta Regione Toscana, pp. 215.

Bartolucci F, Domina G, Adorni M, Alessandrini A, Angiulli F, Ardenghi NMG, Banfi E, Barberis G, Bedini G, Bonari G, et al. 2016. Notulae to the Italian native vascular flora: 1. Italian Botanist 1: 5–15.

CABI: Schinus molle, Invasive Species Compendium. CAB International, Wallingford (2018)

Conti F, Abbate G, Alessandrini A, Blasi C, editors. 2005. An annotated  checklist  of  the  Italian  vascular  flora.  Roma: Palombi Editori.

Dos Santos Cavalcanti, A., de Souza Alves, M., Da Silva, L.C.P., Dos Santos Patrocínio, D., Sanches, M.N., Chaves, D.S.D.A., de Souza, M.A.A. 2015. Volatiles composition and extraction kinetics from Schinus terebinthifolius and Schinus molle leaves and fruit. Rev. Bras. Farmacogn. 25: 356–362.

El-Nashar H.A. S., Mostafa N.M., Abd El-Ghffar E. A., Eldahshan Omayma A., Singab A. N. B. 2022. The genus Schinus (Anacardiaceae): a review on phytochemicals and biological aspects, Natural Product Research 36 (18): 4833-4851.

Galasso G, Conti F, Peruzzi L, Ardenghi NMG, Banfi E, Celesti-Grapow L, et al. 2018. An updated checklist of the vascular flora alien to Italy. Plant Biosystems 152 (3): 556–592.

Garzoli S., Laghezza Masci V., Ovidi E., Turchetti G., Zago D., Tiezzi A. 2019. Chemical Investigation of a Biologically Active Schinus molle L. Leaf Extract. Journal of Analytical Methods in Chemistry Volume 2019, Article ID 8391263, 6 pages https://doi.org/10.1155/2019/8391263

Goldstein DJ, Coleman RC. 2004. Schinus molle L. (Anacardiaceae) chicha production in the Central Andes. Economic Botany 58 (4): 523-529.

Gualtieri M, Araque M, Carmona J, Garcia M, Di Bernardo M, Rios N, Villalobos C, Fung Y, Uscategui N, Sosa F. 2012. Actividad antibacteriana del Schinus molle L. cultivado en Italia. INHRR vol.43 no.2 Caracas Dec. 2012

Howard LF, Minnich RA. 1989. The introduction and naturalization of Schinus molle (pepper tree) in Riverside, California. Landscape and Urban Planning 18 (2):77-95.

Kasimala M., Kasimala B. B. 2012. A review on Brazilian pepper plant: Schinus molle. Journal of Atoms and Molecules 2 ( 2): 6–13.

Iponga DM, Milton SJ, Richardson DM, 2010. Performance of seedlings of the invasive alien tree Schinus molle L. under indigenous and alien host trees in semi-arid savanna. African Journal of Ecology 48 (1):155-158.

Lemos RPM, Matielo CBD, Marques Jr AS, Dos Santos MG, Da Rosa VG, Sarzi DS, Rosa JVS, Stefenon VM. 2019. Ecological niche modeling of Schinus molle reveals the risk of invasive species expansion into biodiversity hotspots. Anais da Academia Brasileira de Ciências 91: e20181047. https://doi.org/10.1590/0001-3765201920181047

Lepetu J. 1998. Investigation on sustainability of species for sand dune stabilization in the Kalahari desert with special reference to Tsabong, Botswana. SACCAR Newsletter, No. 42:28-32.

Lopez T. 1990. Gli alberi della Via Marina. Edizioni Rexodes Magna Grecia, pp. 159.

Mahoney D. 1990. Trees of Somalia. A field guide for development workers. Oxford, UK: Oxfam/HDRA.

Manzari R. 1990. Proposte sulla valorizzazione forestale dell’Atlante sahariano algerino. Monti e Boschi 41(2):19-24;

Materechera SA., Hae ME. 2008. Potential of aqueous extracts from parts of the pepper tree (Schinus molle L.) to affect emergence and seedling development of wheat (Triticum sativa L.) and weeds in a manure amended soil. The Open Agriculture Journal 2: 99-104.

Milton SJ, Wilson JRU, Richardson DM, Seymour CL, Dean WRJ, Iponga DM, Procheş Ş 2007. Invasive alien plants infiltrate bird-mediated shrub nucleation processes in arid savanna. Journal of Ecology 95: 648–66.

Ortega Estrada A, Schavesande E, 1975. Piru [Schinus molle], a species of the upper forest edge, and its use in building construction. Mensajero Forestal, 33 (350; 353): 26; 7.

Ramírez-Albores  JE,  Richardson  DM,  Stefenon  VM,  Bizama  GA,  Pérez-Suárez  M,  Badano  EI  2021. A global assessment of the potential distribution of naturalized and planted populations of the ornamental alien tree Schinus molle. NeoBiota 68: 105–126.

Ravindran P. N. 2017. The encyclopedia of herbs & spices. Volumes 1 and 2, [ed. by Ravindran, P. N.]. Wallingford, UK: CAB International, pp. 1128.

Richardson DM, Iponga DM, Roura-Pascual N, Krug RM, Milton SJ, Hughes GO, Thuiller W, 2010. Accommodating scenarios of climate change and management in modelling the distribution of the invasive tree Schinus molle in South Africa. Ecography 33 (6):1049-1061.

Stinca A., Chianese G., D’Auria G., Del Guacchio E., Fascetti S., Perrino E.V., Rosati L., Salerno G., Santangelo A. 2017. New alien vascular species for the flora of southern Italy. Webbia 72 (2): 295-301.

Trindade DFV, Coelho GC, 2012. Woody species recruitment under monospecific plantations of pioneer trees – facilitation or inhibition? iForest 5: 1-5.

Zahed N, Hosni K, Brahim NB, Kallel M, Sebei H, 2010. Allelopathic effect of Schinus molle essential oils on wheat germination. Acta Physiologiae Plantarum, 32(6):1221-1227.

Zahed N, Hosni K, Brahim NB, Sebei H, 2011. Essential oil composition of Schinus molle L. fruits: an ornamental species used as condiment. Journal of Food Biochemistry 35 (2): 400-408.

Siti Web

http://www.theplantlist.org/browse/A/Anacardiaceae/Schinus/

, ,

Leave a comment

I carpini: dai boschi ai giardini

I carpini sono alberi caducifogli. La flora italiana comprende:

Carpino bianco  (Carpinus betulus  L.), alto fino a 20-25 m. Si trova negli ambienti alpini e appenninici  e diminuisce progressivamente verso sud, manca nelle isole.  Predilige i suoli silicei, sciolti, è specie miglioratrice del suolo. Componente tipico degli ambienti meso-igrofili della Pianura Padana dove costituisce i querco-carpineti planiziali assieme alla farnia, formazioni complesse come composizione e funzionamento a causa della variazione del regime idrico dei suoli. I querco-carpineti si ritrovano nell’ Italia centrale in zone circoscritte, ma rispetto ai boschi padani,  il carpino bianco e la farnia diminuiscono, e compaiono, al variare del contenuto idrico del suolo: frassino ossifillo, acero campestre, olmo campestre, cerro, farnetto, ontano nero, ecc.. Nel querco-carpineto collinare, il carpino bianco diviene minoritario, e si associano: rovere, castagno, aceri, olmi e tigli. Il carpino bianco convive con il carpino nero, in condizioni di minore disponibilità idrica. Il carpino bianco tollera l’ombra. E’ il più mesofilo degli altri due carpini. Poco longevo, non oltre i 120 anni.

Foglie di carpino bianco

Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop. ) alto fino a 15-20 m. Ad ampia diffusione nella penisola italiana. Se il carpino bianco è prevalente al settentrione, il carpino nero lo è al meridione. Specie molto adattabile, termofila e abbastanza xerofila. Raggiunge i 1200 m dove incontra il faggio. Fino a 600-700 m forma nell’ Itala centrale gli orno-ostrieti insieme a orniello e roverella (talvolta con leccio, aceri).

Orno-ostrieti dopo la ceduazione (Appennino marchigiano)

Frequente la mescolanza con il cerro. In Calabria si accantona spesso in ambienti di forra delle Serre e dell’ Aspromonte con tiglio e nocciolo. Tuttavia gli ostrieti con carpino nero dominante (cui si associano leccio, orniello, roverella, acero napoletano, cerro, carpino orientale, ontano napoletano, acero campestre) sono presenti nella Catena costiera e Sila Greca. Il carpino nero è ubiquitario, tipico di calcari e marne. Evita i terreni argillosi. Specie pioniera, resistente alla siccità.

Frutti di carpino nero

Carpino  orientale  (Carpinus orientalis  Mill. ). Alberello più piccolo dei precedenti non supera i 12 m di altezza.  Abbastanza diffuso in Italia ad eccezione del settore alpino, della Liguria e delle isole. Termo-xerofilo, frequente su terreni calcarei fino a 1100 m  dove si può trovare assieme a carpino nero, leccio, roverella, orniello e altre specie arbustive mediterranee e sub mediterranee. Specie pioniera.

Nei boschi

La facoltà pollonifera (emissione di polloni) del carpino nero è in genere più elevata delle altre specie consociate come roverella, cerro e orniello. Dopo 40 anni la capacità pollonifera del carpino nero tende gradualmente a diminuire fino ad arrestarsi intorno ai 100 anni.

Giovane ceppaia di carpino nero

Le ceduazioni regolari favoriscono il carpino nero e l’orniello che, grazie alla elevata capacità pollonifera, si rinnovano rapidamente per via agamica a discapito delle altre specie consociate (es. aceri) che non sembrano in grado di strutturare il popolamento principale se non vengono rilasciate come matricine.

Il governo a ceduo è ancora giustificato laddove sussistono motivi economici e sociali. Ottima la legna da ardere: di elevato potere calorifico, di facile accensione e a fiamma lunga, componente ottimale della “legna fine” per le pizzerie. Ottimo anche il foraggio, per cui i carpini venivano “sgamollati”.

La forma di trattamento è il taglio raso con riserva di matricine. Nella scelta del turno bisogna considerare che: se si adottano turni intorno ai 15 anni si favorisce il carpino nero, se invece si applicano turni più lunghi intorno ai 25 anni, si favoriscono altre specie, quindi una maggiore diversità specifica, redditività e difesa del suolo.

Il numero delle matricine, di 1 e 2 turni, non dovrebbe superare gli 80-90 soggetti a ettaro da scegliere tra quelli di buona qualità come forma del fusto e della chioma e vigorìa per resistere meglio alle avversità meteoriche. Le matricine di carpino nero sono poco resistenti all’isolamento, quindi, è meglio fare affidamento su altre specie. Un esempio è il ceduo di carpino con la matricinatura di cerro. I boschi cedui di carpino dell’Appennino sono diventati gli emblemi degli attacchi degli ambientalisti, i cosiddetti “boschi stecchino”. E in effetti, se si sbaglia la matricinatura, i boschi appaiono, dopo il taglio, come un insieme di “stecchini”, dai fusti esili-esili. Nei terreni in forte pendenza le matricine possono essere distribuite a gruppi o a fasce per assicurare una maggiore protezione dal rotolamento di rocce e facilitare le operazioni di esbosco.

La conversione dei cedui in fustaia è sconsigliata. Solo in casi particolari, da verificare se lo consentono le condizioni del popolamento, del suolo e la giacitura, può essere una opzione accettabile come nelle zone di interesse turistico-ricreativo. Ci sarebbero anche vantaggi  di ordine ecologico per la costante copertura del suolo, la maggiore ricaduta della sostanza organica e quindi per l’ incremento della fertilità del suolo. Questa scelta gestionale non può essere generalizzata, soprattutto su suoli degradati in pendenza, in quanto si possono verificare ribaltamenti di intere ceppaie che aprono vuoti nel soprassuolo, creando fenomeni di dissesto idrogeologico ben più gravi di una ceduazione condotta con attenzione. 

I carpini si trovano in natura, e possono essere micorrizati, con tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt.) e con tartufo bianco (Tuber magnatum Pico). Una buona alternativa nei terreni marginali all’agricoltura sono le tartufaie artificiali da realizzare con una densità iniziale di 250-400 piante ad ettaro.

Un caso a sé stante sono i querco-carpineti planiziali. Il trattamento tradizionale era il ceduo composto. Si può sempre procedere su questa linea se si vuole ottenere legna da ardere, mantenere una coltura e una struttura “storicizzata” e attenuare l’impatto visivo del ceduo matricinato. Motivazioni di ordine conservativo e ricreativo potrebbero suggerire scelte diverse come la conversione a fustaia. In tal caso bisogna prefigurare una gestione della futura fustaia. Ma attenzione alle soluzioni “innovative” di cui non è stata dimostrata l’efficacia, alla “selvicoltura esortativa” (tutte quelle norme che consigliano i professori universitari, ma che i pratici, a ragione, non seguono), alle variazioni dello stato idrico dei suoli connessi ai cambiamenti climatici e all’uso del territorio. Un passo falso e nel querco-carpineto si potrebbero amplificare quei fenomeni già in atto: la crisi  della  farnia, la “presa di possesso”  della robinia e della quercia rossa.

I boschi e le aree degradate appartenenti alla serie dinamica dei boschi di carpino nero in passato sono state rimboschite con pini (nero). Va considerato che, in questo modo si verifica un rallentamento della velocità di evoluzione della sostanza organica, e che, si può fare maggiore affidamento sulla capacità di ricolonizzazione del carpino e dell’orniello.

Meglio se, nei cedui degradati di carpino nero (grado di copertura <50%), si accelerano i processi dinamici con piantagioni a gruppi di latifoglie della stessa serie dinamica.

Le ceppaie delle piante deperienti possono essere prima “tramarrate”, in quanto le gemme proventizie dell’area del colletto ricacciano anche se interrate, e poi, selezionati i migliori polloni.

Nelle aree particolarmente disagiate e impervie, i boschi degradati vanno lasciati alla evoluzione naturale confidando nella capacità di “ricucitura naturale” (anche se lenta) del carpino nero e orientale.

Non mancano esempi di ricostituzione del querco-carpineto in terreni marginali all’agricoltura della Pianura Padana (Foresta Carpaneta, Mantova; Bosco di Mestre, Venezia).   

Nei  giardini

il carpino bianco ha avuto un maggiore impiego rispetto al carpino nero: perché di un bel giallo autunnale, e con interessanti cultivar: ‘Fastigiata’,’ Frans Fontaine’. Carpinus betulus  è inoltre resistente all’inquinamento urbano.

Carpinus betulus ‘Fastigiata’

Nel Giardino della Villa Veneta, la “Carpinata”  era il viale di carpini abbastanza denso, spesso sagomati in modo da formare una galleria. Una specie molto usata per realizzare quinte, alte oltre 10 m (Castello di Schoenbrunn in Austria), labirinti verdi (Castello di Canavino in Piemonte), viali, siepi formali e gruppi isolati (Venaria Reale, Torino).

Le  cultivar di forma conica vengono poste a dimora con un interasse di 4 – 6 m, le altre di 7-10 m.

Sieponi, Venaria Reale (Torino)

Per approfondimenti

Bartolucci F.,  L. Peruzzi  G. Galasso, A. Albano, A. Alessandrini, N. M. G. Ardenghi, G. Astuti, G. Bacchetta, S. Ballelli, E. Banfi, G. Barberis, L. Bernardo, D. Bouvet, M. Bovio, L. Cecchi, R. Di Pietro, G. Domina, S. Fascetti, G. Fenu, F. Festi, B. Foggi, L. Gallo, G. Gottschlich, L. Gubellini, D. Iamonico, M. Iberite, P. Jiménez-Mejías, E. Lattanzi, D. Marchetti, E. Martinetto, R. R. Masin, P. Medagli, N. G. Passalacqua, S. Peccenini, R. Pennesi, B. Pierini, L. Poldini, F. Prosser, F. M. Raimondo, F. Roma-Marzio, L. Rosati, A. Santangelo, A. Scoppola, S. Scortegagna, A. Selvaggi, F. Selvi, A. Soldano, A. Stinca, R. P. Wagensommer, T. Wilhalm,  F. Conti 2018. An updated checklist of the vascular flora native to Italy, Plant Biosystems – An International Journal Dealing with all Aspects of Plant Biology, 152: 2, 179-303.

Biondi E. 1982. L’Ostrya carpinifolia Scop. sul litorale della Marche (Italia centrale). Studia Geobotanica 2: 141-147.

Blasi C., Filibeck G., Rosati L., 2006. Classification of southern Italy Ostrya carpinifolia woods. Fitosociologia, 43 (1): 3-23.

Brullo S., Scelsi F., Spampinato G.  2001. La vegetazione dell’Aspromonte. Studio fitosociologico. Laruffa Editore, Reggio Calabria, pp.368.

Campanaro A., Hardersen S., Minari E., Toni I., Mason F. (eds.) 2014. Piano di gestione della Riserva Naturale Statale e Sito Natura 2000 “Bosco Fontana”. Aggiornamento 2014 – 2020. Quaderni Conservazione Habitat, 8. Cierre edizioni, Verona, pp. 265.

Camerano P., Grieco C., Terzuolo P.G. – IPLA S.p.A. 2010. I Boschi planiziali. Conoscenza, conservazione e valorizzazione. Regione Piemonte, Blu Edizioni, Torino, pp. 167

Ciancio O., Mercurio R., 1987. Analisi e prospettive per la valorizzazione dei boschi di un’ azienda forestale del Preappennino umbro. Annali dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, Vol. 16 (1985): 281-309.

Crosio F., Ferrarotti B. 1999. Due secoli di vita forestale nel Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino. Parco Naturale- Comune di Trino, Studi Trinesi  n. 15 Trino Vercellese, pp. 115.

De Philippis A. 1957. Selvicoltura speciale. Università di Firenze.

Del Favero R. 2004. I boschi delle regioni alpine italiane. CLEUP, Padova, pp. 599.

Del Favero R. 2010. I boschi delle regioni dell’Italia centrale. CLEUP, Padova, pp. 425.

Del Favero R., Dell’Agnola G., De Mas G., Lasen C., Paiero P., Poldini L.,  Urso T., 1989 –  Il carpino nero nel Veneto. Regione Veneto, Dipartimento Foreste, Mestre- Venezia, pp.132.

Ebone A., Camerano P., Gottero F., Terzuolo P.G. 2007. I boschi del Piemonte, IPLA-Regione Piemonte, pp. 242.

Ebone A., Terzuolo P., Camerano P., Gonthier P. 2011. Querco-carpineti planiziali del Piemonte. Caratteristiche ed esperienze di gestione. Sherwood 175: 37-41.

Ferrarini E., Rolla G., 1977. I carpineti di Ostrya carpinifolia dei dintorni di Massa e Carrara (Toscana). Webbia, 32 (1): 197-234.

Gellini R.,  Grossoni P.  1997.  Botanica  Forestale.  II  Angiosperme. CEDAM.

Gottero F., Ebone A., Terzuolo P., Camerano P. 2007. I boschi del Piemonte, conoscenze e indirizzi gestionali, Regione Piemonte, Blu Edizioni, Torino.

Hermanin L., Belosi A., 1993. Tavola alsometrica dei cedui di carpino nero dell’Appennino romagnolo. L’Italia Forestale e Montana 48 (6): 353-372.

Milanese A., Blasi C., Stanisci A. 1998. I querceti della zona planiziaria del Parco Nazionale del Circeo. Flora e vegetazione del Parco Nazionale del Circeo: 181-198.

Minelli  A., Chiusoli A. 2000. New shapes and new species in street tree population. In: Georg F. Backhaus Hartmut Balder Elke Idczak (eds) Proceedings of International Symposium on  Plant Health in Urban Horticulture  Braunschweig, Germany, from May 22 to May 25, 2000, pp, 30-34.

Mei G., Colpi C., Taffetani F., Gubellini L., Corti G. 2015. Vegetazione, suolo e dinamiche ecologiche nel corso del turno in un ostrieto mesofilo dell’Appennino Umbro-Marchigiano. 10° Congresso Nazionale SISEF (Firenze 15-18 Settembre 2015). Abstract-Book Comunicazioni Orali p. 64.

Mercurio R., Bagnato S., Scarfò F., Spampinato G., 2007, I tipi forestali del versante occidentale del Parco Nazionale del Pollino. Edizioni Laruffa, Reggio Calabria, pp. 116+13. 

Paiero P. 1965. I boschi della bassa pianura friulana. Annali Accademia Italiana di Scienze Forestali 14: 137-164.

Piccioli L., 1890-1903. Le piante legnose italiane. Tip. Landi, Firenze.

Pilla C. 1955. I carpini. Monti e Boschi 6 (11-12): 587-594.

Pirone G. 2015. Alberi, arbusti e liane d’Abruzzo. 2 ed. Cogecstre, pp. 624.

Pirone G., Manzi A. 2003. Un bosco residuo a cerro, rovere, farnia e carpino bianco nei dintorni dell’ Aquila (Italia centrale). Informatore Botanico 35 (2):  321-327.

Poldini L., Buffa G., Sburlimo G., Vidali M. 2009. I boschi della Pianura Padana orientale e problemi inerenti alla loro conservazione. Natura Bresciana, Ann. Mus. Civ. Sc. Nat., Brescia 36: 179-184.

Presti G., Stanisci A., Blasi C. 1998. I boschi umidi relittuari del Parco Nazionale del Circeo. In: Stanisci A., Zerunian S., eds. Flora e Vegetazione del Parco Nazionale del Circeo. Sabaudia, Ministero per le politiche Agricole, Gestione ex A.S.F.D. pp. 244.

Ubaldi D. 1981. I boschi a carpino nero. Natura e Montagna 1: 53-60.

Venturella G., Mazzola P., Raimondo F. M. 1990. Aspetti distributivi e sinecologici di Ostrya carpinifolia Scop. in Sicilia. Quad. Bot. Ambientale Appl. 1: 211-246.

Zanetti M. 1985. Boschi e alberi della pianura veneta orientale nella storia naturale, nel paesaggio, nel costume contadino. Ediciclo, pp. 384.

Zanetti M. 1997. Atlante della flora notevole della pianura veneta orientale. Nuova Dimensione editrice, Portogruaro, pp. 208.

, , , ,

Leave a comment